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Solo il tempo di morire

Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, Milano è l’opposto della città da bere, classico tormentone pubblicitario con cui sarà apostrofata in seguito.

Milano è solo una metropoli teatro di eventi stragisti, omicidi politici, lotte operaie e studentesche, uno sfondo su cui giocano il loro ruolo piccoli criminali che in breve faranno carriera, passando dalla mala occasionale alla criminalità organizzata vera e propria. Sono anni in cui si formano piccoli gruppi, chiamate batterie, dedite inizialmente alle rapine, ma siccome l’ambizione è quella di trasformare Milano in Las Vegas, il gioco clandestino si trasforma in bische provviste di ogni comfort (droga e prostituzione comprese) in cui non è difficile trovare, seduti al tavolo, politici e amministratori locali.

Questi gruppi entrano in contatto e poi in contrasto nel tentativo di assurgere al controllo unitario della città; così tra faide, lotte intestine e tradimenti, omicidi e vendette, Faccia d’Angelo, il Catanese e Roberto, sfidati dal cocciuto commissario Santi, daranno vita al romanzo criminale milanese.

Solo il tempo di morire prende le mosse da una storia realmente accaduta, tanto da risultare affatto avvincente, così da presentare una trama scontata e nota. È facile dietro i tre soprannomi o alias individuare precisi personaggi realmente esistiti, già trattati da ampia bibliografia (da cui peraltro il romanzo trae spunto) e filmografia, per cui nulla è inventato (se non appunto le identità dei protagonisti) creato o modificato. La stessa definizione di romanzo criminale della metropoli lombarda risulta abusata e stucchevole.

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