Pandemia portami via
21 maggio 2020
Nella vita mi sarei aspettata di tutto, tranne una pandemia.
Eppure è ciò che è successo e sta succedendo: un virus, un nemico invisibile a occhio nudo ci ha messi sotto scacco in brevissimo tempo. Ha cambiato le abitudini, le regole, il lavoro, la scuola, la sanità, le relazioni interpersonali, ogni cosa.
Praticamente tutti hanno scritto o pensato di scrivere un diario dei giorni trascorsi reclusi in casa, senza le cene con gli amici, o le uscite con gli amanti, o le feste di compleanno dei bambini, o le visite ai nonni.
Un diario dove raccontare la propria tragedia personale per aver perso i contatti sociali in genere. Qualcuno ha reagito meglio, qualcuno peggio, ma più o meno tutti hanno tirato un sospiro di sollievo lo scorso lunedì, quando è ufficialmente iniziata la fase 2, che non è ancora il “liberi tutti” della fase 3, ma gli assomiglia molto.
Tutti, tranne me.
La mia vita in quarantena non è cambiata rispetto alla vita che conducevo prima, a parte la gradita novità dello smart working. Per il resto, la catena sveglia-lavoro-casa-sonno è rimasta invariata.
Sono stata bene, senza obblighi sociali da assolvere, senza trucco, senza tacchi, senza pensare al “cosamimettodomaninoquellonolhogiàmessolascorsasettimanauffailvestitochevolevoèdastirare”, in pace con me stessa, libera.
Forse sono io a essere spenta, a non aver voglia di uscire, ridere o ballare, o forse la mia asocialità ha preso il sopravvento, in ogni caso, io sono stata bene.
E il “quasi liberi tutti” è arrivato fin troppo presto. E con esso, è caduta la scusa per eccellenza: ora si può uscire di casa, e il mondo se lo aspetta anche da me.
Riprenderemo tutti il tran tran quotidiano pre-covid, prima o poi, ma io avrei preferito “poi”.
Sempre se il virus non concluderà la sua partita contro il genere umano con un eclatante scatto matto.