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La regola dell’equilibrio

È una strana primavera a Bari, piove e tira vento sulla testa dell’avvocato Guerrieri che, assecondando il clima, trascorre le sue giornate tra gli uffici del tribunale, lo studio privato e il soggiorno di casa dove parla – e piglia a botte – il sacco da boxe che solitario penzola dal soffitto. In questa prassi, quasi polverosa, irrompe un cliente particolare, un magistrato di statura, candidato alla presidenza del tribunale, il quale racconta di avere avuto soffiate su un pentito che avrebbe rilasciato dichiarazioni compromettenti sulla sua persona.

Guerrieri riceve incarico di tutelare il magistrato e di saperne di più rispetto a queste dichiarazioni, non ancora pubbliche; per approfondire si rivolge a un investigatore privato, o meglio un’investigatrice, Annapaola, figura mascolina che cavalca motociclette rombanti e che non esce mai di casa senza una mazza da baseball.

L’indagine si rivela semplice e al contempo la più rognosa che potesse capitare, quando le dichiarazioni del pentito trovano fondatezza nell’esistenza di conti esteri, di pertinenza del giudice, su cui venivano accreditate somme di denaro frutto di illecito. Come comportarsi ora che si scopre che il cliente è colpevole, quando nulla all’inizio aveva fatto dubitare? Come si può svolgere il proprio mestiere di difensore, per di più di un giudice corrotto? Qual è la sottile linea rossa che delimita la correttezza professionale di tutelare da quella civile di denunciare, la regola dell’equilibrio tra ciò che si vede e ciò che si crede?

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