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L’uomo di Londra

Louis Maloin lavora di notte, è l’uomo addetto agli scambi ferroviari, l’occhio di Dieppe, in Normandia. Assiste all’arrivo del traghetto dall’Inghilterra, conoscendone le manovre a memoria, cataloga movimenti, individua visi e luci della città, seppur avvolta nella coltre della nebbia. Forza dell’abitudine!

In una di queste notti Maloin è involontario testimone di un furtivo passaggio di valigia tra due uomini, dal ponte di un traghetto alla banchina; quello a bordo gli viene facile, data la provenienza della nave, ribattezzarlo l’uomo di Londra. Pochi istanti dopo è ancora involontario partecipe di un alterco, sempre tra i due, risolto dall’inglese con l’omicidio del complice. Nel litigio purtroppo la valigia cade nelle acque scure e nebbiose del mare di Normandia.

Per nulla intimorito, al contrario, guidato da una smania sciocca e inquietante al tempo stesso, Maloin non dà l’allarme, ma si mette alla ricerca della valigetta misteriosa, trovandola, e appena ne scorge il contenuto, una montagna di sterline, diventa ostaggio di una febbrile ebbrezza che lo porterà a sfidare l’uomo di Londra.

Cosa spinge una persona comune, l’addetto notturno agli scambi ferroviari, a calarsi in una condizione oggettivamente più grande di lui, fino a farlo diventare, esso stesso, un assassino?

Forse è curiosità, cupidigia, temerarietà, noia, o semplice sbruffoneria.

In una trama degna del “suo” miglior Maigret, Simenon racconta, con lo stile asciutto e accattivante che gli è riconosciuto, la parabola di un uomo qualunque, testimone di un delitto che, invece di denunciarne l’accadimento, decide di invischiarsi in una condizione evidentemente complessa da gestire fino alla naturale assunzione di responsabilità, all’epilogo di reo confesso.

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